Mario Dell'Acqua

La Ceramica di Nicola Pellegrino

 

Da tempi lontani, lungo la costa del golfo lunato, abbiamo avuto una straordinaria produzione di ceramica. E' così che possiamo spiegare il senso di armonie di forme e di colori in molti (artisti) della nostra terra.

Pur tuttavia la produzione sembra aver perduto il vigore di un tempo e ristagna alla ricerca di forme e decori (supporti dipinti) che nella loro ripetibilità non esprimono alcun linguaggio. E' il ciclo di produzione che a volte diventa deviante: si plasma l'argilla, si sottopone l'argilla plasmata ad una prima cottura, si cosparge di smalto l'argilla plasmata e successivamente si colora. La seconda cottura fonde lo smalto e fissa i colori. Percorrendo con diligenza queste fasi si rischia di ottenere una buona argilla colorata, un supporto disegnato, ma non una ceramica.

Il lavoro di Nicola Pellegrino, invece, sembra il risultato del rimescolamento del ciclo alla ricerca di un materiale ceramico che non si conforma e non si disegna. L'artefatto, nel senso di fatto con arte, diventa oggetto solo nelle mani del fruitore che tenta di dargli una funzione: "come è bello ma a cosa serve?"

Percorrendo il piccolo vano della Galleria del Corso si possono osservare tante "ceramiche" liberate dalla geometria del tornio di cui possiamo leggerne la forma come quando, col naso all'insù diamo un nome al disegno delle nuvole.

E' una condizione tutt'altro che scontata per chi, come Pellegrino, sottrae il suo gesto alla tirannia dell'attualità, per collocarlo in uno spazio più ampio confidando nella durabilità della materia, del manganese, del verderamina e del sigillo del fuoco.